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Timoniere di un calcio che sta sparendo: Galliani, già ci manchi

Timoniere di un calcio che sta sparendo: Galliani, già ci manchi

  • Fernando Pernambuco
Come scriveva Leopardi c’è più gioia nel Sabato che nella Domenica. La speranza, l'aspettativa, l'illusione danno più energia della realtà. Il calciomercato è un po' questo: il periodo, quasi per tutti i tifosi, dei grandi sogni. E al sogno non c'è limite, ognuno è in grado di coltivare i suoi. L'Atalanta si confermerà, non c'è dubbio, l'Inter con Spalletti vedrai, il Benevento sarà la sorpresa, l'Hellas rinverdirà il glorioso passato, la Roma stavolta ce la fa, il Napoli ha acquisito sicurezza, la Juve centrerà il 7° scudetto, e il Milan adesso coi soldi d'Oriente...ecc.

Non v'è alcuna certezza, per questo si può pensare in grande. Certo non per tutti. Vedi la Fiorentina, per esempio, condannata ai carboni ardenti dell'incertezza. Ma la Lazio, la scorsa stagione chi se l'aspettava? Una certezza invece l'abbiamo. Non c'è più lui che calca la scena. Lui è il geometra Galliani. Protagonista indiscusso di ogni calciomercato, ha saputo gestire sia i trionfi, sia la decadenza. In tempi migliori per il calcio italiano dal punto di vista economico, arrivava dove voleva. Depistava, smentiva, affermava, smentiva di nuovo. Aveva il senso della comunicazione perché garbatamente raggirava i giornalisti in cerca di scoop, domandando a loro notizie sul Milan oppure che ne pensavano del tale giocatore. Sfoderava quel sorriso transilvanico da patibolo che sarebbe piaciuto a Murnau. Duettava negli studi televisivi, sdrammatizzando con il proverbiale “Ma lei ne sa più di me. Domani mi telefoni”.

In fatto di ristoranti di pesce era una garanzia: “Giannino” a Milano, il “Botafomeiro” a Barcellona (il padrone pensò per un po' d'intitolare a suo nome il grande piatto d'entrata dei crostacei e “mariscos”) “Lorenzo” a Forte dei Marmi, ma anche Gallipoli, Aci Trezza, Mazara. Scoprì “Uliassi” a Senigallia e si rammaricò che né Ascoli, né Ancona fossero più in serie A. Ha rappresentato perfettamente l'incarnazione d'una ragion di stato (il Presidente e l'Azienda) prima di tutto, ma lo ha fatto in modo gaudente ed efficiente, sapendo tener testa a gente come Raiola.

Saranno anche bravi e professionali i nuovi, ma Mirabelli è un tipo da “Fattoria” trangugiato all’Autogrill; Fassone da verdure bollite. Galliani aveva l'aria di divertirsi, anche se in tribuna mordeva il freno. Con zoccoli e pantaloncini corti, sfidava, a Forte dei Marmi l'eleganza compita e un po' malinconica di Moratti. Portava Raiola alla “Capannina” di Franceschi per farlo sentire fuori casa, anche se parlare di sentimenti per Mino è forse troppo.

Se ne va e “chi se ne frega” diranno molti tifosi milanisti, delusi dalla mediocrità che Galliani, più realista del re (ma senza soldi, dove si va?) ha dovuto gestire, pazientemente, ma anche grottescamente quando gli fu affiancata l'avvenente figliola del Presidente. La “Bella e la Bestia” furono soprannominati quando stavano fianco a fianco in tribuna, lei con lo sguardo vago, lui abbacchiato come un lupo dei Carpazi nel mezzo d'un gelido inverno.

Facile governare la barca col vento in poppa; più difficile risalirlo quando batte contro. Con ogni tempo, il geometra di Monza, ha comunque sempre saputo timonare e solcare alla grande i mari d'un calcio che va scomparendo e, possiamo dirlo, fatta salva l'eccezione di poche squadre, “spersonalizzando”. Dalla filiera corta “made in Italy”, si è passati alla filiera lunghissima dei fondi d'investimento, degli sceicchi e dei magnati orientali. Noi Galliani in un sushi-take away non ce lo vedevamo e non ci si vedeva neanche lui.

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