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  • Argentina vs Rosario: una notte leggendaria di 50 anni fa, nel segno di El Trinche, 'il più grande di tutti'

    Argentina vs Rosario: una notte leggendaria di 50 anni fa, nel segno di El Trinche, 'il più grande di tutti'

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    E’ la notte del 17 aprile 1974.
    La Nazionale Argentina sta giocando una serie di amichevoli nel paese in vista dell’imminente mondiale tedesco che inizierà fra meno di due mesi.
    A portare ai Mondiali la nazionale argentina, dopo la clamorosa esclusione del 1970, è stato Omar Enrique Sivori, il talentuoso numero 10 di River Plate, Juventus e Napoli che nelle vesti di allenatore ha saputo ricostruire dalle proprie ceneri una nazionale forte, competitiva e che soprattutto incarna i valori tipici del calcio argentino.
    Creatività, fantasia e tecnica sono tornate in primo piano dopo anni bui dove il calcio fisico e difensivista e basato quasi esclusivamente su una ossessiva preparazione fisica aveva rinnegato l’essenza del calcio argentino, la “nuestra” ovvero il modo di giocare a calcio che ha sempre contraddistinto questo bellissimo e contraddittorio paese.
    Una grossa mano a Sivori l’ha data l’avvento nel panorama argentino di una delle squadre più belle della storia di tutto il calcio sudamericano: l’Huracan del giovane tecnico rosarino Cesar Menotti.
    Le premesse per un Mondiale finalmente da protagonisti ci sono tutte. Tanto più che al blocco Huracan (Brindisi, Babington, Houseman e Carrascoa) si aggiungono giovani interessantissimi come il portiere Ubaldo Fillol del River e Mario Kempes del Rosario Central. Con loro ci sono calciatori che giocano stabilmente in Europa come la coppia dell’Atletico Madrid Ruben Ayala e Ramon Heredia o i difensori Enrique Wolf del Real Madrid o Roberto Perfumo del Cruzeiro.
    Sivori, non certo il carattere più accomodante di questa terra e da tempo ai ferri corti con l’AFA, LA Federazione Argentina, si dimette facendo sprofondare nel caos la preparazione agli imminenti mondiali.
    Al suo posto viene chiamato in fretta e furia Vladislao Cap che però stava allenando in Colombia e non pare molto aggiornato sul calcio del suo paese.
    Per questo motivo vengono organizzate una serie di amichevoli all’interno dell’Argentina con delle selezioni locali, in modo di dare la possibilità a Cap di valutare il materiale a sua disposizione prima di redigere la lista dei 22 per il Mondiale di Germania.
    Quella sera, al Coloso del Parque, lo stadio nel Newell’s Old Boys, ci sono oltre 30 mila spettatori curiosi di vedere i migliori giocatori del paese in azione.
    La selezione rosarina è composta molto democraticamente da cinque giocatori delle “Canaglie” del Rosario Central e cinque dai “Lebbrosi” del Newell’s.
    A completare l’undici titolare un centrocampista, che gioca in una squadra di Seconda Divisione che si chiama “Central Cordoba” (la terza squadra della città di Rosario).
    Si chiama Tomas Felipe Carlovich ma per tutti a Rosario è “El Trinche”.
    Gioca con il numero 5, quello del “volante difensivo” ovvero del centrocampista che si sistema davanti ai quattro difensori e fa sia da frangiflutti delle offensive avversarie sia da primo costruttore della manovra d’attacco.
    A Rosario Carlovich è già un idolo.
    Ci sono persone che vanno ad assistere alle partite del Central Cordoba solo per vedere questo lungagnone mancino in azione.
    Le tribune sono riempite a turno da tifosi del Newell’s o del Rosario quando una di queste gioca in trasferta.
    Quella però sarà la sera dove il mito e la leggenda si incontreranno finalmente con la REALTA’.
    Prima di scendere in campo le istruzioni dei due tecnici di Rosario Central (Carlos Timoteo Griguol) e del Newell’s (Juan Carlos Montes) sono molto espliciti con gli undici che stanno per scendere in campo. “Oggi abbiamo la grande occasione di mostrare a tutta l’Argentina che cos’è il calcio che si gioca a Rosario. Vi chiediamo solo due cose: di impegnarvi al massimo e di giocare il calcio che conoscete e che vi piace giocare. Non preoccupatevi più di tanto di marcare o di difendere. Questa preoccupazione ce l’hanno gli altri che sono i migliori giocatori del Paese. Per cui non perdete la serenità e giocate per divertirvi”.
    La partita è iniziata da una manciata di minuti e il primo pallone che tocca Carlovich è un’autentica opera d’arte. Ricevuta la palla da Aimar affronta il difensore dell’Independiente Francisco “Pancho” Sa, uno che ha già vinto due Copa Libertadores. Sa affronta Carlovich che finge di aprire il gioco sull’esterno e invece fa passare la palla tra le gambe del difensore della Nazionale Argentina. “El Trinche” si ferma e sul secondo tentativo di Sa, stavolta con l’esterno del piede, gli fa passare un’altra volta il pallone fra le gambe. “Tunel de ida y de vuelta” marca della casa del Trinche Carlovich.
    Ad aprire le marcature ci pensa Jorge Josè Gonzalez, terzino del Rosario Central e servito perfettamente da un assist di un giovanissimo Mario Kempes, anche lui del Rosario Central. Siamo al 25mo minuto e la festa è solo all’inizio il secondo gol è del “Mono” Offredo Obberti del Newell’s servito da un pallone con il contagiri del Trinche Carlovich.
    A segnare il terzo gol è proprio Mario Kempes, con una delle sue bordate di sinistro su cui nulla può Miguel Angel Santoro, portiere dei “diavoli rossi” dell’Independiente.
    E’ un “baile total”. L’Argentina la palla non l’ha mai vista. Giocatori come Brindisi, “El Loco” Houseman, Daniel Bertoni, Aldo Pedro Poy (idolo del Rosario Central ma avversario quella sera) non sono riusciti a creare un solo grattacapo alla difesa della Selezione rosarina.
    Ma la star assoluta della partita è stata lui: Tomas Felipe Carlovich, semplicemente inavvicinabile.
    E’ stato lui il padrone assoluto. Da lui sono passate tutte le azioni di gioco e lui ha rallentato o velocizzato l’azione a suo piacimento. “Gambetas”, “caños” “sombreros” (due consecutivi a Brindisi hanno fatto impazzire lo stadio) e i suoi lanci millimetrici a innescare i compagni.
    Alla fine del primo tempo l’allenatore della Nazionale Argentina è imbestialito. Si reca nello spogliatoio avversario e quasi supplica ai due tecnici di dire ai propri ragazzi di togliere il piede dall’acceleratore. “Domani stampa e tv ci massacreranno. Con che spirito potremo andare ai Mondiali dopo una batosta come questa ?” chiede un disperato Vladislao Cap a Griguol e Montes.
    Non finisce qui però. Di richieste ne ha un’altra e molto più esplicita.
    “E vi prego, togliete dal campo quel cappellone con il numero 5. Ci sta facendo a pezzetti.”
    Il numero 5 è, ovviamente Tomas Felipe Carlovich.
    Cap sarà accontentato dopo pochi minuti della ripresa e chi era presente quella sera racconta di un’ovazione trionfale che accompagnò l’uscita dal campo del Trinche.
    Fu come se si spense la luce.
    La Nazionale Argentina riprese un po’ di coraggio ma la grinta e il carattere dei rosarini non permisero nessuna rimonta. Un solo gol, quello di Victorio Cocco a rendere più accettabile la sconfitta.
    … con una certezza da parte di tutti: che con Carlovich in campo per tutti i 90 minuti sarebbe stato con ogni probabilità un massacro.
    Poche settimane più tardi Vladislao Cap diramò la lista dei 22 per i mondiali di Germania.
    Due soli giocatori di squadre di Rosario finirono in quella lista: Aldo Poy e Mario Kempes. Non Tomas Felipe Carlovich l’unico che quella sera giocava in una squadra di Seconda Divisione.
     

    ARGENTINA: Miguel Ángel Santoro (Independiente); Enrique Wolff (River Plate), Néstor Togneri (Estudiantes), Francisco Sá (Indepediente), Alberto Tarantini (Boca); Miguel Ángel Brindisi (Huracán), Roberto Telch (San Lorenzo), Aldo Pedro Poy (Rosario Central); René Houseman (Huracán), Osvaldo Potente (Boca), Daniel Bertoni (Independiente)
    Cambios: Carlos Squeo (Racing) por Brindisi, Victorio Cocco (San Lorenzo) por Houseman, Rubén Cano (Atlanta) por Potente, Enrique Chazarreta (San Lorenzo) por Bertoni. Entrenador: Vladislao Cap

    ROSARIO: Carlos Biasutto (RC); Jorge José González (RC), Pavoni (NOB), Capurro (NOB) y Mario Killer (RC); Carlos Aimar (RC), Tomás Felipe Carlovich (Central Córdoba) y Mario Zanabria (NOB), Sergio Robles (NOB), Alfredo Obberti (NOB) y Mario Kempes (RC). Cambios: Rebotaro (NOB) por González, José Berta (NOB) por Carlovich, Roberto Carril (RC) por Robles, Daniel Aricó (RC) por Obberti. Entrenador: Carlos Timoteo Griguol (RC) y Juan Carlos Montes (NOB)
    GOLES: PT: González (Rosario), Obberti (Rosario), Kempes (Rosario); ST: Cocco (Argentina)
     
     
    E la realtà è rappresentata da questo calciatore che in questa partita è semplicemente inavvicinabile. 
    In campo comanda lui, conquista palla con i suoi tackles, rallenta o velocizza l’azione a suo piacimento, esce in dribbling dalla fase difensiva (divertendo e divertendosi con i suoi tunnel) oppure innesca gli attaccanti con lunghi lanci millimetrici.
    Il primo tempo finisce sul 3 a 0 per la selezione rosarina contro, ripeto, la Nazionale Argentina.
    Un autentico massacro. Un “baile” come dicono da quelle parti.
    Alla fine del primo tempo l’allenatore della “biancoceleste” Vladislao Cap va negli spogliatoi degli avversari e SUPPLICA il tecnico rivale di sostituire quella autentica ira di Dio.
    Il tecnico gli da ascolto.
    L’Argentina rialza la testa solo parzialmente … non subisce più gol e riesce a segnarne uno.
    Alla fine sono in molti a dire che con Carlovich in campo tutta la partita sarebbe stata una disfatta senza precedenti.
    Di li a poche settimane arrivano le convocazioni per il Mondiale tedesco e nei 22 ci sono due dei giocatori di Rosario che affrontarono l’Argentina in quell’amichevole; Mario Kempes e Aldo Poy … ma non Tomas Felipe Carlovich.
    “El Trinche” torna nel suo anonimato anche se in tanti, per anni, continuano a parlare della sua prestazione in quella partita.

    Qualche offerta arriva, gioca nel Colon e nel piccolo Deportivo Maipiù dove mostra in quell’unica stagione tutta la sua classe … ma 100 km lontano da Rosario sono tanti, troppi.
    Così torna nella sua città e nel suo piccolo Club alternando il calcio alle lunghe giornate a pescare con gli amici di una vita e alle chiacchiere e al buon vino dei bar del suo barrio.
    Con questa piccola squadra chiuderà la carriera, idolatrato dai tifosi che riempiono ogni domenica il piccolo “Gabino Sosa” per vedere i suoi lanci, i suoi dribbling e i suoi tunnel.
    E chi lo ha visto giocare ancora oggi non ha dubbi, il più forte di tutti era proprio lui, “El Trinche” Carlovich. Un po’ Redondo e un po’ Riquelme dicono … beh, come figure di riferimento niente male !
    Finita la carriera ha vissuto ancora nella sua Rosario, andando a pescare e a giocare a carte e a bere nei suoi bar. E allenando una piccola squadretta locale (con risultati eccellenti !), un uomo felice e sereno. Quando gli chiedevano perché uno come lui non sia mai “arrivato” davvero lui, bonario e serafico rispondeva: “Cosa vuol dire “arrivare” ? Io volevo solo giocare a pallone e stare con le persone che amo … e le persone che amo vivono tutte qui, a Rosario”
     
     Quando si parla di Tomas Felipe Carlovich il rischio è sempre lo stesso. Quello di raccontare il mito e non il calciatore, non l’uomo.
    Raramente è capitato nella storia dello sport, del calcio in particolare, che un calciatore sia diventato così popolare, iconico e amato quando di lui non esiste praticamente nessun filmato, nessuna giocata negli archivi della tv argentina e sulla bibbia di chi ama il “calcio di una volta” ovvero You Tube.
    Uno spezzone di un film della durata di una manciata di secondi. Il tempo di vedere una finta di corpo e poi con il suo sinistro saltare un avversario in dribbling..
     
    Eppure il suo nome è sempre a fianco dei più grandi di una nazione che ha regalato gioia e bellezza come forse nessun’altra a questo gioco meraviglioso.
    Maradona, Messi, Houseman, Bochini, Riquelme, Redondo, Sivori, Di Stefano … chiedete ad un argentino di aggiungerne altri due o tre. El Trinche Carlovich ci sarà sicuramente.
    Non ci sono immagini è vero.
    Ma ci sono parole, ricordi e testimonianze.
    Di chi il calcio lo ha vissuto, lo capisce e lo ha saputo insegnare.
    Menotti, Bielsa, Pekerman … tutta gente che con l’Argentina e in Argentina hanno vinto e insegnato calcio.
    Vi diranno che Tomas Felipe Carlovich era una gioia per gli occhi.
    Che vederlo in una cancha era emozione e bellezza.
    Era gioia ed era rivoluzione, perché capivi, guardandolo giocare, che quello, il campo di gioco era l’unico posto dove avrebbe voluto stare 24 ore al giorno e per tutta la vita.
    El Trinche è ormai un icona. C’è gente che arriva da tutte le parti del mondo in pellegrinaggio a Rosario solo per vederlo, fare una foto e stringergli la mano.
    Lui parla pochissimo.
    Di se non parla per niente.
    Lascia che siano gli altri a farlo. Non cercava fama, notorietà e denaro quando giocava.
    Figuriamoci ora, arrivato all’inverno della sua vita.
    Una cosa dice sempre.
    A chiunque. Amici del barrio, giornalisti e semplici persone che vanno a conoscerlo.
    “Darei tutto quello che mi resta da vivere per tornare a giocare su un campo di calcio. Nemmeno una partita intera. Mi basterebbero 45 minuti. E poi potrei morire davvero felice”.
     
    L’8 maggio del 2020 Tomas Felipe Carlovich se ne è andato. Per colpa di un paio di delinquenti che per rubargli la bici, il suo unico mezzo di trasporto con il quale si muoveva per il suo barrio, lo ha scaraventato violentemente a terra.
    Ha lottato due giorni ma non c’è stato nulla da fare.
    A 74 anni “il più grande di tutti” (parole e musica di Diego Armando Maradona) ci ha lasciati.

    La sua leggenda però è destinata a diventare giorno più grande.
    Descanse en paz Trinche.
     
    Argentina vs Rosario: una notte leggendaria di 50 anni fa, nel segno di El Trinche, 'il più grande di tutti'

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    Ovidio Ceciotti
    Ovidio Ceciotti

    Nooooo, che brutta notizia!! El Trinche era diventato il mio idolo, da appassionato di calcio arg...

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