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  • Il Giorno della Memoria, ricordando Weisz: 'Dallo Scudetto ad Auschwitz'

    Il Giorno della Memoria, ricordando Weisz: 'Dallo Scudetto ad Auschwitz'

    Oggi si compiono settant'anni esatti dalla liberazione del campo di concentramento nazista di Auschwitz. In tutto il mondo si celebra Il Giorno della Memoria, per non dimenticare mai gli orrori e l'abominio dell'Olocausto al quale anche lo sport ha pagato un tributo pesantissimo. Arpad Weisz, allenatore dell'Inter e del Bologna, passò "Dallo scudetto ad Auschwitz". Questo è il titolo dello splendido libro di Matteo Marani che racconta la storia di un uomo e di un allenatore straordinario. A Weisz e a tutte le vittime della bestialità nazista, dedichiamo un passo di Primo Levi.
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    Voi che vivete sicuri
    Nelle vostre tiepide case,
    voi che trovate tornando a sera
    Il cibo caldo e visi amici:
    Considerate se questo è un uomo
    Che lavora nel fango
    Che non conosce pace
    Che lotta per un pezzo di pane
    Che muore per un sì o per un no.
    Considerate se questa è una donna,
    Senza capelli e senza nome
    Senza più forza di ricordare
    Vuoti gli occhi e freddo il grembo
    Come una rana d'inverno.
    Meditate che questo è stato:
    Vi comando queste parole.
    Scolpitele nel vostro cuore
    Stando in casa andando per via,
    Coricandovi alzandovi;
    Ripetetele ai vostri figli.
    O vi si sfaccia la casa,
    La malattia vi impedisca,
    I vostri nati torcano il viso da voi.

    Primo Levi, "Se questo è un uomo"
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    Non lo sapeva nemmeno Enzo Biagi, bolognese e tifoso del Bologna. «Mi sembra si chiamasse  Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito», ha scritto in "Novant'anni di emozioni". 
    E' finito ad Auschwitz, è morto la mattina del 31 gennaio '44. Il 5 ottobre del '42 erano entrati nella  camera a gas sua moglie Elena e i suoi figli Roberto e Clara, 12 e 8 anni.Questa è la risposta,  documentata, di Matteo Marani, bolognese, laureato in Storia (e questo spiega qualcosa). Gli ci  sono voluti tre anni di ricerca, scrupolosa e insieme ossessiva, perché gli pareva di inseguire un  fantasma. Ed ora questo libro: "Dallo scudetto ad Auschwitz" (ed. Aliberti), preciso come una banca  svizzera, dolente come una cicatrice. Ho idea che Marani abbia sentito le voci nel vento, per dirla con Guccini, bolognese d'adozione. Forse lo ha spinto una coincidenza: abita a meno di 300 metri da  dove abitava Weisz. Certamente lo ha sorretto una volontà da detective della memoria.
    E così 
    dai registri di classe del '38, ritrovati in uno scantinato, è arrivato a conoscere uno degli amici del  piccolo Weisz, un amico vero che per tutti questi anni aveva conservato lettere e cartoline che gli  arrivavano dalla Francia, dall'Olanda, da dove i Weisz cercavano di sottrarsi ai cacciatori dopo che il Bologna aveva licenziato il suo tecnico in omaggio alle leggi razziali. 
     
    Arpad Weisz era stato un ottimo giocatore, ala sinistra. Nell'Olimpica ungherese del '24 fa coppia  con Hirzer, la Gazzella, che sarebbe stato il primo straniero alla corte degli Agnelli. 
    Gioca nel Padova (poco), nell'Inter, ma un infortunio serio lo porta sulla panchina nerazzurra come  tecnico. È lui a lanciare in prima squadra Peppino Meazza, a 17 anni, lui ad allenarlo 
    individualmente, al muro, perché abbia la stessa padronanza dei due piedi, è lui a vincere lo scudetto del '30, sempre lui a scrivere, a quattro mani col dirigente Aldo Molinari, il manuale "Il giuoco del  calcio", con prefazione di Vittorio Pozzo che non era l'ultimo arrivato. Ancora lui a importare in  Italia il sistema di Chapman, a sperimentare i ritiri (in località termali), ad allenarsi in braghe corte insieme ai giocatori, quando le foto di Carcano (famoso quinquennio juventino) lo mostrano in giacca e cravatta. Gli allenamenti si dirigevano, non si facevano. "Il mago" lo chiama "Calcio illustrato". 
    Col Bologna «che tremare il mondo fa» vince due scudetti consecutivi. È il tempo di Schiavio, di  Monzeglio che insegna il tennis ai figli di Mussolini, dell'uruguagio Sansone che sposa la cassiera  del bar Centrale, di Fedullo, di Fiorini detto il Conte Spazzola che muore nel '44 sotto una raffica dei partigiani, e ancora di Ceresoli, di Biavati che esegue il doppio passo e poi crossa al bacio per Puricelli detto Testina d' oro. Al Littoriale, Weisz chiede un'equipe fissa di giardinieri per il prato, un laboratorio medico-dietetico. Nella finale del Trofeo dell' Esposizione, a Parigi, il Bologna batte 4-1 i maestri del Chelsea.
    Ma il cerchio intanto si stringe intorno a una famiglia felice. Il figlio non può iscriversi a scuola. Il 
    padre non può allenare. Il Bologna lo licenzia a fine ottobre del '38, dopo un 2-0 alla Lazio. Al suo  posto l'austriaco Felsner. La famiglia Weisz lascia Bologna in treno, direzione Parigi. La speranza è di trovare un lavoro. Tre mesi trascorsi in albergo indeboliscono le finanze e non danno risultati. Si  punta sull'Olanda, Dordrecht. Città piccola, squadra semidilettantistica, ma con Weisz in panchina batterà più d'una volta il grande Feyenoord. Ma anche in Olanda, paese con un tasso altissimo di  collaborazionismo, si stringe il cerchio.


    MATTEO MARANI
    Dallo scudetto ad Auschwitz 
    Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo

    Aliberti, 2007
    pp. 208

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